Il regista, in una recente lettera al “Corriere della Sera”, ci parla, come le altre personalità di cui abbiamo segnalato il contributo in questa rubrica, della sua esperienza, di questo tempo, che ci fa tutti uguali eppure ancora una volta così assolutamente unici e indistinguibili in quello che, ognuno, sa trarre da sè per comunicarne, fare patrimonio comune. Avati ci fa riflettere sull’antico dilemma del sogno e della veglia, sull’interruzione della normalità come momento lunghissimo e rarefatto in cui sostare ad occhi chiusi, insieme ai nasi e alle bocche messi sotto filtro. Ma quali sono gli occhi veramente chiusi? E quale attesa ci deve pervadere, quella del ritorno alla fuga quotidiana, al ritmo costante del consumo e dell’intrattenimento come connotati unici di un tempo libero residuale rispetto a quello “vero”, oppure quella che l’artista definisce

speciale opportunità per provare a far crescere culturalmente il paese stravolgendo davvero i vecchi parametri, contando sull’effetto terapeutico della bellezza

Noi, con la fiducia nella capacità delle singola goccia di farsi orizzonte di mare, sottoscriviamo questa seconda opzione.

Questo il link alla lettera che vi invitiamo a leggere:

https://www.corriere.it/

Fonte: www.corriere.it