[Marco Tornar, in Vario, n. 70, ottobre-novembre 2009, p. 86]

A chi desidera leggere qualcosa di autentico e valido, anche l’opera di un’esordiente, purché alla profondità e allo scrupolo della ricerca si associ una consapevolezza stilistica, consigliamo senz’altro il saggio di Zaira Fusco “Il sapere esoterico dei Rosacroce” (Om Edizioni, pp. 231, euro 20). Un tema altamente sensibile, è il caso di dire – e non soltanto perché la celebre confraternita fece dell’invisibilità, dell’imprendibilità, il proprio statuto. Studiosi contemporanei quali Paul Arnold e Frances A. Yeates hanno definitivamente enucleato il valore di questa enigmatica entità storica, sgombrando il campo da numerosi pregiudizi dell’una e dell’altra parte – quella di chi arrivava al punto di dichiararsene affiliato, e quella di chi cercava di liquidarla col più sbrigativo dileggio.

Stando così le cose tutto sembrerebbe risolto. E invece no. Lo si voglia o meno, la Rosacroce è tuttora una stella buia, un buco nero anche quando ci si affida ad aperte e democratiche sistemazioni esegetiche.

“Essi restarono effettivamente invisibili, di là dal mito che li prese a soggetto”, è la deduzione tutt’altro che lapalissiana di un autore italiano di cui preferiamo tacere il nome. Ogni segreto crea tensione – si immagini allora quale scatenamento, quale maelstrom dell’esperienza conoscitiva spalanchino la letteratura esoterica e quell’ermetismo da cui il rosacrocianesimo fu influenzato.

Con raffinata competenza e munita del raro dono della levità Zaira Fusco ha saputo affrontare un patrimonio culturale sterminato e incandescente, per delineare un fascinoso viaggio, com’è ben detto nella quarta, dentro un passato che irrora inaspettatamente il nostro stesso contemporaneo. Chi erano Christian Rosenkreutz, Johann Valentin Andreae? Le bellissime pagine iniziali dedicate ai simboli della rosa e della croce, alle connessioni tra Oriente e Occidente, alla medievale vibrazione tra natura e Cristo, e dove spicca l’incanto dell’unicorno, davvero fungono da “scrigno dove il mito continua a vivere”, come la Fusco scrive riguardo alla rilettura di testi classici e arabi nel corso dell’evoluzione filosofica e scientifica. Dunque la pista seguita è a tutti gli effetti moderna, oggettiva, saldamente legata ai criteri della verifica e del riscontro? Guenon, “metafisico” autore novecentesco, che moderno proprio non lo è, legittima il viaggio dell’autrice almeno tanto quanto i più consolidati e razionali Yeates e Arnold. La peculiarità della Fusco è in questo delicato compito di bilanciare i rapporti, di alchimizzare, di muoversi con intelligenza tra fonti spirituali e mondane – a tutto vantaggio di una piena fruibilità e scorrevolezza testuale. Non è poco non incorrere nell’errore critico in cui sono caduti tanti ostinati nello scambiare gli Invisibili per un bersaglio. Ma perché? La stessa solidarietà non è forse di marca rosacrociana?

Non vogliamo togliere al lettore il piacere di scoprire da solo chi fossero il seicentesco scrittore Andreae e il suo personaggio, o meglio il suo fantasma immortale, Rosenkreutz. Il che non impedisce la constatazione che il cuore del libro, i capitoli affidati alla ricomposizione degli accadimenti seguiti alla pubblicazione, tra il 1614 e il 1616, dei tre testi anonimi di Kassel e Strasburgo, e all’apparizione dei misteriosi volantini nelle strade di Parigi, sette anni dopo – così come le puntuali analisi della Monade geroglifica e di una figura strategica come l’elettore palatino Federico V – siano di mirabile fattura. A ciascuna delle sette giornate delle “Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz”, l’anonimo romanzo di Strasburgo, la Fusco assegna una parafrasi preziosa per quanti intendano accostarsi ai prodigi dell’alchimia letteraria, considerando anche che il testo-chiave della Yeates, “L’illuminismo dei Rosacroce”, citato più volte dall’autrice pescarese, da anni è irreperibile in traduzione italiana.

Tra i vari meriti del libro, a suffragare una possibile plasticità esoterica, le pagine sull’Hortus palatinus e soprattutto sulla Porta Magica di Roma, che basta solo andare a vedere per convenire quantomeno che la Quarta Monarchia rosacrociana non avrebbe permesso un degrado simile – e tuttavia: “Il nostro figlio morto vive, torna Re dal fuoco e gode delle occulte nozze”, ne traduce la Fusco l’ultima delle iscrizioni iniziatiche. E tra noi ci sono “figli regali”, discendenze di siffatte nozze? Personalmente riteniamo che proporre a tanti bravi intellettuali nostrani un ripensamento sul Libero Arbitrio equivarrebbe a impedire al cliente di un supermercato di approfittare delle offerte sui generi alimentari. Non per ciò sono meno convincenti i capitoli finali sulla relazione con l’arte contemporanea, anzi sono l’esito naturale, il canto del cigno – e del serpentario, chi leggerà capirà – di quella levità di tratto – non leggerezza – propria della vivace penna della Fusco. L’idea di libertà evocata dall’autrice è jaspersiana, ha spessore teologico: “La lotta tra scienza e fede da sempre in atto si risolve nel superamento del dogmatismo religioso contingente e nell’affermazione di una libertà dell’uomo connaturata al suo essere nel mondo. L’uomo sceglie la sua direzione e si avvale della sua possibilità di comunicazione. Proprio a causa della natura umana è innata la sua vocazione alla ricerca del Dio che gli assomiglia poiché l’ha creato”. L’intero “Sapere esoterico dei Rosacroce” è corredato da una splendida iconografia curata anch’essa dalla Fusco. Si possono ammirare arcani emblemi e simboli di difficile reperibilità – un sapiente contrappunto all’invisibile – specie in chiusura con le suggestive riproduzioni di rare opere fin de siecle. Auratiche. Il Novecento avrebbe potuto avere tutt’altro destino.